28 Novembre 1974
➡️ 45 anni fa esce RELAYER – (‘azz, siamo coetanei!!)
Settimo progetto musicale degli Yes, rimane uno dei lavori più controversi della band, seppur rivalutato dalla storia, in particolare negli ultimi due decenni.
Dai suoi detrattori viene considerato una brutta copia del ben più celebre Close To The Edge, anche solo per il medesimo schema, che ripropone una lunga suite sul lato A + 2 tracce sul lato B, parliamo ovviamente di vinile.
Il fresco abbandono di Rick Wakeman lo rese certamente meno interessante, anche solo in termini di marketing, da qui la freddezza con cui venne inizialmente accolto.
I suoi estimatori (tra i quali non può mancare il sottoscritto) lo considerano un disco coraggioso, innovativo ed oltremodo sperimentale, prossimo ad uno stile jazz-rock.
Musicalmente senza dubbio si presenta con delle forti novità: totale libertà creativa, suoni molto duri e “cattivi”, fino a quel momento sconosciuti alla band.
Il cambiamento radicale è principalmente determinato dall’ingresso di 2 nuovi componenti: il batterista Alan White, entrato in corsa nel precedente Tales From Topographic Ocenas dopo l’addio di Bill Bruford, che questa volta ha più voce in capitolo, ma soprattutto il tastierista svizzero Patrik Moraz, scelto dopo diverse audizioni, che senza dubbio porta idee nuove, però non sufficienti a garantirne la sua conferma.
Alla fine del tour (comunque uno dei più fortunati) verrà gentilmente messo alla porta: a tal proposito Chris Squire avrà modo di dire “non si è mai integrato con noi….e non con lui!”.
A Patrik Moraz resterà un singolare primato, di tutto rispetto: essere stato chiamato a sostituire i 2 più grandi tastieristi del pianeta, prima Keith Emerson nei Nice e poi Rick Wakeman negli Yes.
Veniamo ai brani.
– “The Gates of Delirium” è l’epica suite, liberamente ispirata a Guerra e Pace di Tolstoj. L’inquietudine ed il tormento bellico emergono nella struttura del brano, che nella sua parte centrale vede i componenti del gruppo sfidarsi in una vera e propria battaglia musicale, dove ciascuno cerca di prevalere sull’altro. La conclusione, una preghiera di pace, non poteva che essere abilmente rappresentata da Jon Anderson (“presto arriverà la luce a curare questa notte senza fine”).
– “Sound Chaser” è probabilmente il brano più interessante dell’album: quasi completamente strumentale, con le sue atmosfere sospese tra jazz e rock, continua ricerca di dissonanze ed improvvisazioni, oggi suona come musica temporanea e rumorista, può inoltre vantare a memoria di fan il più cruento assolo di chitarra elettrica di Steve Howe.
“In certi momenti sembra quasi di ascoltare un gruppo industrial ante litteram” (cit.)
– “To Be Over” è il brano di degna chiusura, che con le sue atmosfere melodiche e oniriche ci riporta in quella che è una consuetudine musicale decisamente più vicina allo stile dei precedenti lavori discografici.
Per festeggiarne l’anniversario il disco verrà suonato per intero nel prossimo tour europeo del 2020, che certamente mi vedrà presente il 5 Giugno al Royal Albert Hall di Londra e poi chissà, in qualche altra città europea, vedremo, sto organizzando il “mio tour”…(come abbiamo già avuto modo di specificare nel precedente articolo sono 3 le date italiane a fine aprile, Milano, Roma e Padova).
Lo show verrà tenuto da quello che, ahi noi, rimane della band: assente il compianto Chris Squire (ma la sua aura ci sarà), ormai sostituito dal suo pupillo Billy Sherwood. Non ci sarà Jon Anderson, lo storico vocalist da oltre un decennio lontano dalle orbite del gruppo, degnamente sostituito da Jon Davison.
Alan White farà presenza, ma il crollo fisico avuto negli ultimi anni non gli consente più di reggere nemmeno mezzo concerto, sostituito quindi dall’ormai ospite fisso Jay Schellen, batterista dalle forti connotazioni heavy metal, perfetto quindi per interpretare questo album.
Ci sarà Steve Howe, scusate se è poco, in grande forma a dispetto dell’età.
Alle tastiere il panther Geoff Downess e forse chissà, ospite a sorpresa Patrik Moraz, magari per la data di Londra?
Nulla di sorprendete insomma, del resto gli Yes vivono da sempre nel Perpetuo Cambiamento.
Lineup di Relayer, da sinistra: Squire, Howe, White, Anderson, Moraz. La foto è stata scattata a casa di Chris Squire presso Virginia Water nella contea del Surrey, dove venne anche registrato il disco, grazie all’attrezzatura mobile di Eddie Offord, ingegnere del suono. All’epoca una delle poche abitazioni col tetto in paglia del Regno Unito. Nel disco non è insolito sentire percussioni non convenzionali. Per riprodurle si narra che Anderson e White si siano recati da uno sfascia carrozze del luogo a recuperare pezzi di ferro e lamiere.
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